Il bias contro gli stereotipi

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By: Dario Piersanti / Blog / Posted on / Comments: 0

Il bias contro gli stereotipi

“Sei psicologo? Quindi mi stai psicoanalizzando?” è una domanda che sento da prima ancora dell’inizio della mia attività professionale. Nel corso del tempo ho cambiato spesso modo di rispondere, ma oggi sento di poter dire con serenità: “sì, lo sto facendo, così come lo stai facendo tu con me”.

Prima di proseguire è necessaria una premessa: questa domanda è quasi sempre posta da non addetti ai lavori, che utilizzano il termine “psicoanalizzare” senza conoscerne il significato preciso. Penso di poter dire con ragionevole certezza che la parola viene usata come sinonimo di “analizzare, scrutare, fare un quadro clinico/patologico di me”. Quindi, per essere più precisi e tenendo a mente questo assunto di base: “No, non ti psicoanalizzando (perché non faccio psicoanalisi) ma si, mi sto facendo un’idea su di te, così come anche tu te la stai facendo di me”.

Osservare il mondo intorno a noi, metabolizzarlo, processarlo mentalmente e incasellarlo in categorie stabilite: sono tutte azioni che avvengono naturalmente nella vita di ogni essere umano e si ripetono quotidianamente in diversi momenti, spesso senza che ce ne accorgiamo.

Questo avviene perché in ogni momento siamo chiamati a prendere tantissime scelte, spesso in grande velocità. Per riuscire a non “impallarsi”, come succederebbe a un computer a cui è stato chiesto di fare troppe cose contemporaneamente, naturalmente ricorriamo a delle scorciatoie mentali, che permettono di categorizzare più velocemente la realtà intorno a noi: “Il cielo è grigio – potrebbe piovere – prendo un ombrello”; “quella persona ha i muscoli della faccia contratti – potrebbe essere arrabbiata – è meglio evitarla”.

Questi tecnicamente sono chiamati stereotipi, che di per sé quindi non sono necessariamente negativi e di fatto sono inevitabili: diventano un problema quando si cristallizzano e si fissano immutabili nella nostra mente, bloccando quindi la fluidità di pensiero.

Quindi si, ti sto categorizzando ma no, non ti sto giudicando e “condannando” a un’immagine bloccata di te. Contrariamente a ciò che (forse) diceva Oscar Wilde, la prima impressione non è l’unica che conta e c’è sempre tempo per modificare il nostro pensiero su qualcosa o qualcuno. Tutto sta nel potersene dare la possibilità.