Dal mio libro “L’orribile gioco” (https://www.giulioperroneditore.com/prodotto/lorribile-gioco/):
“Di tutti i sentimenti umani, trovo che il senso di colpa sia quello più dannoso, soffocante, meschino e subdolo. È dannoso perché ti logora dall’interno, è un sentimento monopolizzante, non lascia spazio ad altro. Se ti senti in colpa non puoi sentirti anche arrabbiato, dispiaciuto, malinconico, puoi solo sentirti così: pessimo e imperdonabile. È meschino perché sentendoti in colpa diventi la versione peggiore di te stesso, patetico e autocompiaciuto del tuo dolore. Nessuno si strugge come te, nessuno è così sinceramente costernato come te a causa di quanto hai fatto, questo peso ti accompagnerà per sempre e non lo dimenticherai mai (e invece lo fai). È subdolo perché ti vuole far credere che l’unica cosa possibile da fare per espiare il male fatto nella nostra vita sia soffrire e sentirsi quanto più addolorati possibile, sterilmente immobili nel nostro dispiacere. Il senso di colpa ci convince che più violentemente soffriremo e ci addoloreremo, più velocemente potremo andare avanti e tornare a stare bene, dimenticando. Ma è proprio dimenticando che si ripetono gli errori. Il senso di colpa da solo non risolve niente: nel migliore dei casi ci fa solo perdere tempo; nel peggiore ci fa arrivare a un’assoluzione delle nostre colpe totalmente auto determinata della quale non bisogna rispondere a nessuno, nel momento in cui decidiamo di essersi prostrati e addolorati a sufficienza.
Tuttavia, molte discipline addette allo studio dell’essere umano (prima tra tutte la psicoanalisi) ritengono il senso di colpa essenziale, poiché è di fatto il sesto senso necessario a domare gli istinti più selvaggi. Grazie al senso di colpa si può capire di aver sbagliato qualcosa e quindi in seguito, se si vuole, scegliere i comportamenti più adeguati da mettere in atto, in relazione al contesto in cui ci troviamo. L’assurdità dell’orribile gioco ha compromesso il ruolo già di suo fastidioso di questo sentimento. Nel mondo in cui viviamo siamo costantemente sottoposti una sovrabbondanza di stimoli ambivalenti ai quali non sappiamo più con certezza come rispondere: dobbiamo sentirci orgogliosi di avere tanti soldi o dobbiamo sentirci in colpa per chi non li ha? Dobbiamo festeggiare l’acquisto di una nuova automobile o dobbiamo sentirci in colpa perché stiamo inquinando? Dobbiamo goderci un lauto pasto o dobbiamo sentirci in colpa perché stiamo ingrassando e non andiamo in palestra?
[…] Queste dinamiche hanno fortificato esponenzialmente il loop doppiamente infinito in cui a turno ricopriamo quotidianamente i ruoli di vittime e carnefici, di noi stessi e degli altri. Doppiamente infinito perché da un lato prima giudichiamo e veniamo giudicati ma anche perché ciclicamente facciamo qualcosa, ci sentiamo in colpa, decidiamo di fare un’altra cosa e poi ci sentiamo in colpa per quello.
[…] Il senso di colpa un tempo era utile: era il campanello d’allarme attraverso il quale ci si accorgeva che qualcosa non andava e bisognava correggere la rotta. Si ascoltava, si correggeva il tiro e si proseguiva affinché quel campanello non suonasse più. Oggi però non sembra esistere una rotta che permetta di evitare gli scogli: siamo liberi di fare e avere tutto ma tutto ci fa sentire in colpa. Per fortuna, però, il senso di colpa si può curare.”